martedì, giugno 23, 2009

Imparare a fotografare.

Parecchi di noi, intendo coloro che sono nati prima degli anni Ottanta, ricordano certamente uno dei due genitori, spesso il papà, alle prese con un apparecchio fotografico. Immaginate di essere stati dei loro coetanei e di aver potuto annunciare loro la trasformazione in futuro del vecchio telefono con la presa al muro in un oggetto che avrebbe funzionato senza fili. Probabilmente sarebbero stati disposti a crederlo. Ma pensate a che faccia stupita avrebbero avuto se aveste detto loro che quello stesso telefono sarebbe entrato comodamente in una tasca, che la sua batteria sarebbe durata giorni interi, che avrebbe avuto moltissime altre funzioni, dall’accesso al proprio conto in banca alla visualizzazione di filmati, dalla connessione via radio con un altro apparecchio alla funzione di agenda, promemoria, sveglia, gioco portatile... Bocca spalancata, sguardo perso nel vuoto, stupore misto a incredulità. Un sogno per l’Italia di allora. Avreste dovuto tenere per ultima la sorpresa: “I telefoni, pardon, i telefonini saranno anche delle macchine fotografiche!” No, questo no! Sarebbe stato troppo per loro abbandonare la reflex meccanica, gli sviluppi della tank, l’ingranditore. Per scattare delle foto con un telefono. Impensabile. Ridicolo.

Oggi ci sembra quasi più normale scattare fotografie con il telefonino piuttosto che con una macchina fotografica vera e propria. La convergenza verso il digitale coinvolge pressoché tutti gli elettrodomestici delle nostre case: frigoriferi che si connettono al Web, lavatrici fuzzy logic, TV che sembrano computer e macchine fotografiche dotate di processori di immagine, chip di tante altre diavolerie elettroniche impensabili già una quindicina d’anni fa.

Eppure, qualsiasi corso di fotografia che si rispetti ci impone un ritorno al passato: si studiano le pellicole, gli obiettivi, i metodi di sviluppo e di stampa, il bianco e nero come disciplina a sé e non come desaturazione di un file a colori. La fotografia consiste in una magica mescolanza di arte e tecnica. Entrambe prescindono dall’informatica in sé poiché occorre conoscere il proprio strumento di lavoro, che non è solo un gadget elettronico. Non contano le prestazioni, specie quando la componente artistica prevale sulla tecnica pura. È difficile imparare a fotografare, forse impossibile in maniera completa, perché il mondo dell’immagine è vasto, infinito, come tutto ciò che possiamo ammirare con i nostri occhi. La stupida sfida dei megapixel, la corsa all’ultimo acquisto, all’aggiornamento della propria attrezzatura fotografica non hanno senso né per la tecnica né in funzione dell’arte fotografica. Apprendere, conoscere, amare la fotografia sono risultato di un lungo cammino, faticoso per chiunque. Una bella foto è il frutto di un della rigida selezione tra una decina di immagini, dopo aver letto e riletto i manuali, dopo aver provato, sbagliato e infine indovinato lo scatto giusto. Magari riprendendo in mano la reflex meccanica di papà, per capire meglio come funzionino quelle attuali.

domenica, giugno 21, 2009

Usato sì, usato no.

Acquistare una fotocamera usata comporta dei vantaggi e degli svantaggi. Il principale beneficio consiste sicuramente in un prezzo allettante. Inoltre, è possibile trovare apparecchi in ottime condizioni, o comunque in uno stato accettabile, se abbiamo la fortuna di incontrare un venditore coscienzioso e che abbia trattato bene l’apparecchio. Esistono dei veri e propri maniaci della pulizia e dell’ordine, che conservano scontrini (anche se la garanzia è scaduta), protezioni di obiettivi e schermi, perfino le confezioni originali. Questa tipologia umana si riconosce fin dall’imballo, curatissimo, composto da decine di pagine di giornale appallottolate che fungono da ammortizzatore alle “cure” postali a cui sarà sottoposto il prezioso contenuto. Già all’apertura del pacco che possiamo fare un’idea della bontà del nostro acquisto.
Ma non sono tutte rose e fiori. In caso di guasto l’apparecchio che rischia di dover essere gettato via, soprattutto le macchine fotografiche di fascia economica, poiché il valore della riparazione spesso supera i tre quarti del prezzo dell’apparecchio nuovo. Occorre anche tenere in considerazione che ormai la fotografia si è imparentata strettamente con l’informatica, per cui oggetti di due anni fa sono da definirsi come “obsoleti” soltanto per il semplice fatto che nel frattempo le fotocamere, e con loro le aspettative degli utenti-consumatori, sono decisamente migliorate. Insomma, la pericolosissima frase “ormai non vale più la pena” è sempre in agguato. Quindi acquistare fotocamere nuove ha ancora senso, specialmente per i due estremi del mercato, le fotocamere più costose e le entry level. Nel primo caso la garanzia di due anni, a volte estensibile a tre o addirittura cinque, ci mette al riparo da spiacevoli sorprese, talora causate più da difetti di fabbrica o da errori progettuali che dalla semplice usura. Anche per l’acquisto di fotocamere sotto i 150 euro è quasi sempre consigliabile rivolgersi allo foto negoziante o, tutt’al più, al negozio on-line. Perché? Immaginate di acquistare un apparecchio di questa fascia di prezzo e di averlo pagato un massimo di 90 euro. Se si guastasse o avesse semplicemente un problema al software, sareste disposti a pagare almeno 40-50 euro per ripararlo? Sommando il costo di riparazione a quello dell’acquisto, avreste una somma pari all’acquisto di un prodotto nuovo e di almeno due anni di garanzia. “Chi non risica non rosica”, è vero, occorre anche un po’ di fortuna. E con un po’ d’astuzia eviterete acquisti poco convenienti.

mercoledì, giugno 17, 2009

Le reflex non reflex


Dopo La Panasonic G1, anche Olympus lancia la sua “reflex no reflex”, la E-P1.
Si tratta dell’uovo di Colombo o dell’ennesima invenzione del marketing?

Innanzitutto vediamo dov’è la sedicente rivoluzione che le due case hanno annunciato, talora pomposamente. Tutte le reflex prodotte finora si sono avvalse di un sistema di visualizzazione dello scatto formato dal pentaprisma a specchio. Le nuove reflex hanno abolito questo spreco di spazio (e di peso) con un semplice schermo LCD. Con buona pace di alti consumi della batteria, il pentaprisma è stato abolito, amputando di fatto un orpello dalle dimensioni e dal peso non indifferenti rispetto all’intero corpo. La qualità di ripresa e di scatto non viene intaccata, se non qualche sforzo visivo per capire se la messa a fuoco è a posto, soprattutto con poca luce.

Quel che lascia perplessi, oltre alla scarsa quantità di obiettivi a disposizione, è il fatto che queste costose fotocamere siano rivolte a un pubblico composto non esattamente da intenditori. Il sensore è il frutto di un compromesso tecnico, una via di mezzo tra una reflex entry-level e una compatta decente. Un po’ poco per competere con una vera reflex. Per non parlare della stravagante scelta dei due costruttori di disegnare un corpo “un po’ rétro”. I product specialist ancora una volta hanno avuto la meglio sugli intenditori di fotografia.

A quando dei sensori più grandi, a partire dalle reflex “vere”?

martedì, giugno 02, 2009

Paparazzi.

Paparazzi era un filmetto girato da Neri parenti con i soliti Boldi e De Sica, ai tempi in cui il loro idillio artistico era ancora ben saldo e una pletora di cammei, da Sgarbi a Fede, da Valeria Mazza a Claudio Lippi. La trama deve aver ispirato l’esistenza di Fabrizio Corona, figlio del più prestigioso e compianto Vittorio, scomparso per sua fortuna prima di vedere il primo arresto del figlio.
Riflettendoci un po’, siamo stati tutti paparazzi almeno una volta nella vita. Basta una qualsiasi cerimonia per scatenare il ditino dei parenti sulla compattina pronta a immortalare attimi indimenticabili. Ora che c’è perfino la possibilità di stampare gli scatti del telefonino, del palmare, della videocamera, praticamente tutta la popolazione vive qualche minuto da paparazzo. Le digitaline entrano in qualsiasi tasca e sono sempre pronte a immortalare qualsiasi istante della propria e dell’altrui esistenza. Vomito di bébé, il cane mentre si libera, la sigaretta dopo il caffè. Ogni gesto è un ottimo pretesto per fissare l’attimo fatidico in una zuppa di bit. Non c’è più limite. Avete presente quei minacciosi cartelli che vietano di scattare fotografie alle vetrine di negozi e centri commerciali? Sono un obsoleto fardello del passato poiché non è possibile vietare oggetti così piccoli e veloci a fissare immagini. Lo sapevate che in Francia è vietato scattare foto nei cimiteri?
Che cos’è, dunque, questa frenesia si mettere a fuoco, quando va bene, e fissare un istante che dovrebbe rimanere così eterno? La fotografia compulsiva come arma contro la morte e l’oblìo?
Chi guarderà i nostri file in futuro? Le stampe eseguite con la getto d’inchiostro di dieci anni fa sono sbavate già ora: che cosa tralasceremo ai nostri nipoti? L’hard disk esterno? La “chiavetta”?

Forse oggi lo scatto fotografico è l’ennesimo gesto ludico e automatico che compiamo con uno qualsiasi dei nostri piccoli gadget elettronici, dal telecomando al telefonino.
Tutto è vano. Ma uno scatto ci seppellirà.