mercoledì, maggio 13, 2009

Il senso della pellicola.

In piena e matura era del digitale fotografico, ci si chiederà che senso abbia ancora l’esistenza delle pellicole per fotografare.
Purtroppo, non sempre il progresso ha migliorato qualitativamente le nostre attività quotidiane. E non è accaduto – e in parte non accade tuttora – nel campo fotografico.

I primi apparecchi digitali avevano risoluzioni molto basse, da 1 a 4 megapixel, sensori con molti problemi tecnici e, soprattutto, prezzi non propriamente accessibili. Anche le funzioni e le caratteristiche di contorno non aiutavano certo: schermi piccolissimi, forte consumo di batterie, scarsa capacità delle memorie, tempi di accensione e scatto inaccettabili, solo per citarne alcune. Una delle prime reflex aveva 3 megapixel e un sensore che s’impolverava spesso e volentieri.
Per non parlare della qualità finale in fase di stampa. Chiunque allora abbia sostituito la propria attrezzatura a pellicola con la digitale aveva fatto male i calcoli. Soltanto da un paio d’anni a questa parte alcune digitali sono diventate un acquisto interessante. Ma non sono un bene durevole. Un po’ perché prevale la logica della sostituzione ogni due o tre anni. Ma anche per il fatto che il marketing delle maggiori aziende suggerisce il rilascio graduale delle innovazioni in questo campo, proprio per aumentare il ricambio tra apparecchi ’vecchi’ e i modelli nuovi. Insomma, da bene duraturo la macchina fotografica, che ora peraltro si chiama ’fotocamera’, è diventato un puro esempio di consumismo che non conosce crisi. Non s’investe più nella reflex, ma si svende il vecchio modello per rincorrere quello nuovo, un po’ come accade per il computer. Che però esprime già il massimo della tecnologia al momento dell’acquisto. La fotocamera no. Esistono da anni i sensori full frame, ovvero della stessa grandezza delle pellicole fotografiche di piccolo formato. Eppure i sensori della maggior parte delle reflex in commercio sono grandi la metà. Perché mai? Si tratta di un tema che merita un post a sé.

La pellicola ha quindi buon gioco in termini di qualità rispetto a tutti gli apparecchi che non abbiano almeno un sensore della stessa grandezza. Per un motivo di pura fisica. Inoltre, i cristalli
foto-sensibili che compongono gli strati del film hanno una forma più irregolare rispetto ai pixel, per cui la granulosità del film risulta essere più naturale ai nostri occhi, come tutte le cose asimmetriche del creato.
Spesso le lenti utilizzate con le reflex a pellicola hanno una qualità nettamente superiore agli zoom economici dei kit reflex, per non parlare delle compatte. Pochi riflessi interni, nessun bordo blu o
rosa contorna gli oggetti molto contrastati raffigurati un uno scatto. L’incarnato, grande rogna per i sensori CCD e CMOS, viene invece riprodotto fedelmente dalle pellicole da ritratto. Eppure c’è chi è pronto a giurare che con l’ultima digitale di grido, specie se piccolissima e dall’obiettivo a forma di fessura, le foto siano ’migliori’ rispetto a quelle a pellicola.

Guardandomi in giro mi chiedo se chi fotografa in digitale abbia poi la pazienza di aprire i file RAW, sempre che abbia la possibilità di farlo, ritoccarli, aggiustarli e ottimizzarli; se la schedina di
memoria non sia l’unico sistema di salvataggio delle immagini, ma se si sia pensato a due o più sistemi di storage per contenere le foto; se si stampi in proprio, spendendo più in cartucce rispetto a una stampa professionale, e se i monitor siano tarati con i profili colore delle stampanti; se si archivino le proprie immagini, scartando quelle inutili e se è facile ritrovarle senza averne mai persa una. Molto probabilmente la maggior parte degli acquirenti di fotocamere digitali, specie se compatte, hanno comprato esclusivamente il desiderio di poter rivedere i propri scatti, non necessariamente al PC, e di stampare alla bell’e meglio qualcosa di loro gradimento. A loro la digitale non ha aumentato la qualità di produzione delle loro immagini, ma ha regalato un oggetto che è una sorta di magico giocattolo.

Tra i fan della pellicola esistono gli estremisti: la pellicola è più ’poetica’, ha un suo ’fascino’ ed è maledettamente rétro. Queste convinzioni non giovano molto alla causa per la sopravvivenza di
questo che è solo uno dei modi di fotografare. È vero che il cinema la tiene viva, così come le applicazioni a infrarossi, i banchi ottici, qualche medio formato, gli obiettivi decentrabili, il bianco e nero, le usa e getta… La pellicola ha dei valori in sé che non sono l’anti-progresso o quel po’ d’artigianato che pure occorre per maneggiarla. Ma la resa, come già detto, superiore nella maggior parte dei casi, ai micro-sensori digitali. Senza la noia di doversi dotare di sistemi anti-polvere, archivi e back-up, senza passare ore a ritoccare. E con la massima libertà d’espressione, a qualsiasi sensibilità ISO, ad esempio. Per gli amanti del medio e grande formato il passaggio al digitale sarebbe alquanto oneroso, piuttosto cambiano sistema. Come i fotografi di cerimonie, che hanno abbandonato ormai del tutto i costi e difficoltà del medio formato a pellicola, per passare a reflex professionali o quasi, ovviamente di piccolo formato.
La questione nasconde parecchi aspetti e ciascuno saprà valutare il meglio per sé.

Concludendo, la pellicola ha tuttora un senso, innanzitutto per tutti coloro che vogliono apprendere le basi della fotografia. Ma anche per quelli che «io scatto e stampo».
Sembrerà un paradosso, ma si tratta di due estremi che riescono a… toccarsi. Grazie al rullino!

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